Ultimo aggiornamento:
07/01/2025
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IL GIOVANE FAVOLOSO
Anno: | 2014 |
Regia di: | Mario Martone |
Genere: | Drammatico |
Io credo che per diventare scrittori bisogna tradurre prima che comporre. Come in pittura si copiano i disegni dei maestri. E poi comporre in prosa prima che in versi.
E' da filosofo non amare la vita e non temere la morte più del giusto.
L'aria di questa città è mutabilissima, umida, salmastra, crudele ai nervi e a tutto questo aggiunga l'ostinata, nera, orrenda, barbara malinconia che mi lima e mi divora. Che parla ella di divertimenti. Unico divertimento in Recanati è lo studio, unico divertimento è quello che mi ammazza... tutto il resto è noia.
"C'è un ordine... è un sistema." "Sì, lo so. E' un sistema che introduce uno scetticismo ragionato e dimostrato." "E tale che per qualsivoglia progresso possibile la ragione umana non potrà mai spogliarsi di questo scetticismo... perché contiene il vero." "E in cosa consiste il vero?" "Consiste nel dubbio. La ragione umana non può trovare il vero se non dubitando. S'allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza. Chi dubita sa. E sa più che si possa."
Io odio questa vile prudenza.
Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Dato che l'andamento e le usanze e gli avvenimenti e i luoghi di questa mia vita sono ancora infantili, io tengo afferrati con ambe le mani questi ultimi avanzi e queste ombre di quel benedetto e beato tempo dov'io sperava e sognava la felicità, e sperando e sognando la godeva; ed è passato, né tornerà mai più, certo mai più; vedendo con eccessivo terrore che insieme colla fanciullezza è finito il mondo e la vita per me e per tutti quelli che pensano e sentono; sicché non vivono fino alla morte se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita.
Non c'è favola più bella che amore e psiche.
Io non ho bisogno di stima o di gloria o di altre cose simili, io ho bisogno di amore... di entusiasmo di fuoco di vita.
"Gli uccelli sono le creature più liete del mondo e così sembrano ridere... come gli uomini." "Non è mirabile come l'uomo sappia ridere... infelice com'è." "Per fortuna a volte gli uomini sanno dimenticare sé stessi."
La mia vita è sempre stata e sarà perpetuamente solitaria.
Quando novellamente nasce nel cor profondo un amoroso affetto, languido e stanco insiem con esso in petto un desiderio di morir si sente: come, non so: ma tale d'amor vero e possente è il primo effetto. Forse gli occhi spaura allor questo deserto...
Un bacio. Non vorrai tu donarmi? Un bacio solo. In tutto il viver mio? Grazia ch'ei chiegga non si nega a chi muor.
Non vissi indarno, poscia che quella bocca alla mia bocca premer fu dato. Anzi felice estimo la sorte mia. Due cose belle ha il mondo: Amore e Morte.
Di questi tempi, è dannosissimo ostentare una disperazione come la vostra. Il nostro secolo ci ha insegnato che la condizione umana si può migliorare di gran lunga da quello che è. Come è già migliorata indicibilmente da quello che fu.
"Natura: Chi sei?" "Islandese: Sono un povero Islandese, che va fuggendo la Natura." "Natura: Io sono quella che tu fuggi." "Islandese: La Natura? Me ne dispiace fino all'anima. Tu sei la nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; sei tu che c'insidii, ci minacci, ci assalti, ci percuoti, ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti." "Natura: Immaginavi forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Io ho l'intenzione a tutt'altro che alla felicità o all'infelicità degli uomini. Quando vi offendo, quale sia il mezzo, io non me ne avveggo. Come se io vi diletto o vi benefico, io non lo so. Se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei."
I tuoi amici politici che parlano tanto di felicità delle masse. Il mio piccolo cervello non concepisce masse felici composte di individui infelici.
Io non desidero altro che fare come gli orientali... che si contentano di sedere tutto il giorno sulle loro gambe a guardare stupidamente in viso questa ridicola esistenza.
Come vedete, il mio organismo è talmente debole da non riuscire a sviluppare una malattia forte che lo possa ammazzare... e dunque vivo.
Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola sei del tuo sesso a cui piegar sostenni l'altero capo, a cui spontaneo porsi l'indomito mio cor. Narra che prima, e spero ultima certo, il ciglio mio supplichevol vedesti, a te dinanzi me timido, tremante (ardo in ridirlo di sdegno e di rossor), me di me privo. E conforto e vendetta è che su l'erba qui neghittoso immobile giacendo, il mar la terra e il ciel miro e sorrido.
Ma che parole vuote. Pessimismo, ottimismo. Ma siete voi che dovete dimostrare che questo mondo non sia il peggiore dei possibili. Io non lo sostengo affatto. Chi conosce i limiti della possibilità? Dovete immaginarlo come il pensiero di un filosofo antico.
Qui su l'arida schiena Del formidabil monte Sterminator Vesevo, La qual null'altro allegra arbor nè fiore, Tuoi cespi solitari intorno spargi, Odorata ginestra, Contenta dei deserti... A queste piagge Venga colui che d'esaltar con lode Il nostro stato ha in uso, e vegga... Dipinte in queste rive Son dell'umana gente Le magnifiche sorti e progressive... Nobil natura è quella Che a sollevar s'ardisce Gli occhi mortali incontra Al comun fato, e che con franca lingua, Nulla al ver detraendo, Confessa il mal che ci fu dato in sorte... ed ordinata in pria L'umana compagnia, Tutti fra se confederati estima Gli uomini, e tutti abbraccia Con vero amor, porgendo Valida e pronta ed aspettando aita Negli alterni perigli e nelle angosce Della guerra comune... Sovente in queste rive, Che, desolate, a bruno Veste il flutto indurato, e par che ondeggi, Seggo la notte; e sulla mesta landaIn purissimo azzurro Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle, Cui di lontan fa specchio Il mare, e tutto di scintille in giro Per lo vòto Seren brillare il mondo. E poi che gli occhi a quelle luci appunto, Ch'a lor sembrano un punto, E sono immense, in guisa Che un punto a petto a lor son terra e mare Veracemente; a cui L'uomo non pur, ma questo Globo ove l'uomo è nulla, Sconosciuto è del tutto; e quando miro Quegli ancor più senz'alcun fin remoti Nodi quasi di stelle, Ch'a noi paion qual nebbia... al pensier mio Che sembri allora, o prole Dell'uomo? Torna al celeste raggio Dopo l'antica obblivion l'estinta Pompei, come sepolto Scheletro... E nell'orror della secreta notte Per li vacui teatri, per li templi Deformi e per le rotte Case, ove i parti il pipistrello asconde, Come sinistra face Che per voti palagi atra s'aggiri, Corre il baglior della funerea lava, Che di lontan per l'ombre Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge... E tu, lenta ginestra, Che di selve odorate Queste campagne dispogliate adorni, Anche tu presto alla crudel possanza Soccomberai del sotterraneo foco... E piegherai Sotto il fascio mortal non renitente Il tuo capo innocente...